< e naufragar m'è dolce in questo mare >

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Co son lontan de ti Trieste mia,
me sento un gran dolor, un gran dolor
e più che zerco de mandarlo via,
più me se ingropa el cuor.
Ma quando torno, un canto de alegria
e digo tra de mi e tra de mi,
che no ghe esisti un altro paradiso
più splendido de ti.




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sabato 27 febbraio 2010

Cile: Cnn, 52 Morti Confermati Nel Terremoto


Santiago del Cile, 27 feb. - (Adnkronos) - Sono 52 i morti confermati nel sisma devastante che ha colpito oggi il Cile. Un bilancio che appare destinato purtroppo a salire, dal momento che la zona dell'epicentro, nei pressi nella citta' di Concepcion nel sud del paese, e' ancora praticamente isolata, con le comunicazioni telefoniche interrotte.

Cile: 76 i Morti Accertati Nel Terremoto

(AGI) - Santiago del Cile, 27 feb. - E' salito a 76 il numero dei morti accertati nel terremoto in Cile. Lo ha riferito l'emittente cilena Tvn. .

Cile: Si Aggrava Bilancio Vittime, 64 Morti.

ASCA) - Roma, 27 feb - E' salito a 64 morti il bilancio delle vittime del terribile terremoto abbattutosi in Cile. Lo ha reso noto il ministero dell'Interno cileno.

Cile: Commissione Ue, Pronti Ad Aiutare

(ASCA-AFP) - Bruxelles, 27 feb - L'Unione Europea ha annunciato di esser pronta a fornire e a coordinare immediatamente gli aiuti per le vittime del devastante terremoto avvenuto in Cile, costato la vita ad almeno 52 persone. La Commissaria europea agli Aiuti umanitari, Kristalina Georgieva, ha detto di aver immediatamente attivato l'unita' di crisi della commissione dando disposizione agli esperti ''di prendere le misure necessarie se richiesto''. ''La Commissione e' pronta a fornire assistenza immediata'', ha spiegato l'ex vice presidente della Banca mondiale.

Cile: Terremoto, Almeno 52 Morti (Cnn)

(ASCA) - Roma, 27 feb - Si aggrava ancora il bilancio del sisma magnitudo 8.8 avvenuto in Cile: secondo la Cnn, sono almeno 52 le vittime.
Fortissimo sisma in Cile, 64 morti, generato tsunami


Un fortissimo terremoto di magnitudo 8,8 ha colpito oggi il Cile vicino alla costa centro-meridionale, provocando almeno 64 morti, creando uno tsunami, facendo tremare gli edifici e provocando blackout e la chiusura dell'aeroporto nella capitale Santiago, che si trova a più di 300 chilometri dall'epicentro.

Le autorità hanno detto che il bilancio dei morti, che sale con il passare delle ore, è salito a 64 persone, come riferito dai media locali, mentre il capo dei servizi di emergenza cileni, Carmen Fernandez, ha detto che il sisma ha causato danni gravi nelle aree storiche di due città meridionali

L'energia elettrica e le linee telefoniche sono interrotte, rendendo difficile una rapida stima dei danneggiamenti nell'oscurità della prima mattina.

"In tutta la mia vita non ho mai sentito un terremoto come questo, è come la fine del mondo", ha detto un uomo ad una televisione locale dalla città di Temuco, dove il sisma ha danneggiato edifici e ha costretto all'evacuazione dell'ospedale regionale.

Il centro geologico Usa -- U.S. Geological Survey -- ha detto che il terremoto ha colpito a 90 chilometri a nordest della città di Concepcion a una profondità di 55 chilometri alle 3:34 ora locale (le 7:34 in Italia).

L'agenzia di monitoraggio Usa per i maremoti nel pacifico, il Pacific Tsunami Warning Center, ha detto che il sisma ha generato uno tsunami che potrebbe essere "fonte di distruzione lungo le coste vicine all'epicentro e potrebbe essere una minaccia anche per le coste più distanti".

Il centro ha lanciato un allarme tsunami per il Cile e il Perù, e un'allerta per Ecuador, Colombia, Panama, Costa Rica e l'Antartide.

Le tv locali hanno riferito che ci sono stati danni agli edifici nel centro storico di Santiago, che si trova a essttamente 320 chilometri dall'epicentro, e vicino alla capitale è crollato un ponte autostradale.

La presidente del Cile Bachelet ha invitato la popolazione a mantenere la calma. "Con un terremoto di queste dimensioni senza dubbio non si può escludere che ci siano altri morti e probabilmente feriti", ha detto.

Un terremoto di magnitudo 8 od oltre è classificato un"grande" terremoto in grado di causare danni "tremendi", secondo il sito dell'Usgs. Il terremoto che ha devastato Haiti il 12 gennaio era di magnitudo 7.0.

-- Sul sito www.reuters.it le altre notizie Reuters in italiano. Le top news anche su www.twitter.com/reuters_italia

venerdì 26 febbraio 2010

Onda nera nel Po raggiunge il mantovano


Le migliaia di tonnellate di idrocarburi fuoriuscite nel Lambro e confluite nel Po sono arrivate oggi nel mantovano, sostiene Ferruccio Melloni, dirigente della Protezione Civile dell'Emilia Romagna.

"La marea nera ... ora minaccia l'acquedotto di Ferrara e l'ecosistema del delta del Po", si legge in una nota diffusa oggi dalla Protezione Civile nella quale è anche riportata la decisione di vietare l'utilizzo dell'acqua del Po per uso personale o commerciale, per le attività di pesca e irrigazione.

Gran parte dei 400.000 litri di idrocarburi, principalmente gasolio, continuano la loro corsa verso l'Adriatico mentre 1.650 tonnellate sono state recuperate grazie alle barriere artificiali predisposte nei comuni di Melegnano, San Zenone al Lambro, Salerano sul Lambro, Castiraga, Chignolo Po, Orio Litta, Calendasco, San Nazzaro, Roncarolo e Isola Serafini.

L'onda nera, lunga circa 50 chilometri e spessa 10-15 centimetri, impiega 12-13 ore per passare in un tratto di fiume.

Diverse riunioni interregionali sono in corso a Piacenza, centro decisionale per la vicenda, nel tentativo di trovare una soluzione strategica che possa contenere l'impatto ambientale, sociale ed economico. Alle riunioni partecipa anche Guido Bertolaso, capo della Protezione Civile.

-- Sul sito www.reuters.it le altre notizie Reuters in italiano. Le top news anche su www.twitter.com/reuters_italia

giovedì 25 febbraio 2010

Collisione al largo Genova, chiazza petrolio verso costa Francia


"Questo carburante va alla deriva verso le coste francesi malgrado l'intervento dei servizi antinquinamento italiani", hanno detto in un comunicato il ministro francese dell'Ecologia Louis Borloo e la sottosegretaria Chantal Jouanno.

Il piano "Ramogepol", che raggruppa Italia, principato di Monaco e Francia nel settore della sicurezza marittima, è già scattato, con l'impiego di aerei per individuare le chiazze e dare indicazioni alle imbarcazioni italiane e francesi.

I comuni francesi del litorale coinvolti, da Cagnes à Hyères, sono ufficialmente in stato di vigilanza. La sorveglianza lungo la costa è stata rafforzata.

"Sono scandalizzato per questo incidente, che avrebbe potuto essere ampiamente evitato. Non è accettabile! Mi rincresce che l'allarme non sia stato dato sufficientemente presto", ha detto Jean-Louis Borloo. "Dobbiamo (...) rafforzare le procedure di cooperazione transfrontaliera perché sia possibile agire più rapidamente e più efficamente già al primo allarme".
La mia barca.

Si tratta di una costruzione artigianale, su progetto mio, derivato da diverse ricerche, su libri nautici, di quella che doveva essere un’imbarcazione d’epoca, con naturalmente gli optional dei tempi moderni.


Risultato, CLAUDIŢA, uno yacht d’epoca con una forma abbastanza tozza, simile ad un bragozzo, ma molto stabile e dalle linee molto nautiche. Lo scafo è quasi uguale al “Flying Fish” (pesce volante), progettato dal noto costruttore navale Jeremiah Burnham, varato nel 1860 a Essex nel Massachussetts.

Per oltre 20 anni il Flying Fish rimase lo scafo più rappresentativo della categoria MARKET SCHOONER (goletta da mercato), preso a campione dai costruttori navali dell’epoca.

Il Flying Fish, grazie alle particolari caratteristiche della sua costruzione a alla sua vastissima velatura, fu una delle golette più veloci della flotta peschereccia di Gloucester, e tali le sue qualità gli consentivano di trasportare, a tempi di record, il pescato dai famosi Banks ai porti di mercato, con evidenti maggiori possibilità di smercio e di guadagno. Le consuete gare di velocità tra gli SCHOONERS dei Banks sono state immortalate nel film “Capitani coraggiosi”, tratto dal celebre romanzo di Kipling.

La velatura del Claudiţa, è composta da: randa aurica e controranda di maestra, vela quadra di trinchetta, vela quadra di parrocchetto, un bompresso di tre metri, con trinchettina, fiocco e controfiocco, in caso di vento troppo forte, può essere issata una tormentina, mentre in caso di vento buono, si può issare sullo strallo del controfiocco, un genoa.

Tutte vele comunque in cotone, confezio-nate da me, seguendo i canoni di una volta, ritrovati in un opuscolo specifico sulle vele antiche e, le stesse, rinforzate, per evitare strappi, durante la navigazione con maltempo, anche se così si perde in leggerezza e quindi risulta meno facile prendere il vento molto leggero.

In coperta, tutto rispecchia uno stile antico, escluso il cordame ed i bozzelli, cose praticamente irreperibili.

Ci sono delle panchine in legno e un tavolo, sul cassero di poppa, dove si può stare a prendere il sole, ma, volendo, anche mangiare.

C’è pure un lavabo ed una griglia a gas, per pulire e cucinare il pesce pescato al momento.

Attorno alla parte poppiera, poco più alto del ponte sottocoperta, c’è un balconcino dal quale si scende a terra oppure nella scialuppa e, dallo stesso, tramite una scaletta, si arriva, sia sopra che sotto coperta. Il balconcino, è protetto da una ringhiera in legno con colonnette, tornite e sul corrimano, per tutta la lunghezza, ci sono due intagli in ottone.

Dal balconcino, si può manovrare la gruetta che sostiene il tender, il tutto è rigorosamente in legno ed in stile d’epoca. Il motore, è un diesel di quaranta cavalli, Farymann, al quale, è affiancato un piccolo motore diesel di tre cavalli, che ho recuperato da una motozappa e che serve da generatore, per caricare costantemente le batterie, i due, sono situati in un alloggiamento stagno ed insonorizzato, con delle aperture verso l’esterno, per l’aerazione, quindi, volendo, si potrebbe navigare a motore anche di notte senza disturbare troppo chi sta dormendo. I due motori, sono entrambi comandati, totalmente, dal ponte di comando, situato in coperta, infatti, vicino alla chiesuola, c’è una plancia con tutti gli strumenti e manometri necessari al controllo, dei motori e serbatoi, ed alla navigazione; c’è pure un tavolino per tenere una carta nautica e per fare il punto nave.

Il serbatoio del gasolio tiene quasi 150 litri, mentre ci sono altri due serbatoi per l’acqua sanitaria e quella potabile, rispettivamente di 150 litri l’uno. Sempre in sentina, sono sistemate tre bombole di gas, una di riserva, da 15 kg per l’uso domestico e per alimentare il frigorifero trivalente , lo scalda acqua e la caldaietta per il riscaldamento.

Sottocoperta, trovano posto oltre alle due cabine separate, a prua, anche il bagno ed un salottino, che può diventare letto matrimoniale, mentre a poppa, si trova la dinette, un soggiorno molto ampio, che all’occorenza, può diventare un altro letto matrimoniale, separandosi con una tenda rigida, dall’angolo cottura completo di tutto l’indispensabile. La dinette, è aperta sul mare, da dei finestroni che coprono, quasi completamente, le pareti e danno sul balconcino.

Lo stile dell’arredamento interno, si rifà a quello dei vecchi yacht del secolo scorso, con finiture ad intarsi in legno e ottone, modanature in legno pregiato e tessuto di velluto blu con ricami in giallo oro.

L’imbarcazione, è stata progettata per essere manovrata da una sola persona, scelta questa, che ho dovuto fare, perché sono io, il solo che sa manovrare una barca a vela, mentre mia moglie è solo alle prime armi.

Per questo motivo, gran parte delle ma-novre, hanno subìto delle variazioni, essendo stati necessari tanti rinvii che su una barca normale non ci sono, in quanto ho voluto raggruppare, il più possibile, le scotte, per poterle manovrare tutte, senza saltare da una parte all’altra della coperta.

Sottocoperta, quindi nelle cabine, bagno e dinette, c’è anche un impianto di riscaldamento, che funziona a gas, come pure la caldaietta per la produzione dell’acqua calda in bagno e cucina.

Quando la costruzione di questo piccolo capolavoro finì, ho fatto delle prove tecniche, per controllare la stabilità e la praticità di manovra, sia navigando a vela che a motore.

Per la navigazione a vela, bisogna dire, che i miei accorgimenti, sono stati veramente validi, poiché, una volta issate la vele, non c’è più bisogno di lasciare il timone e nonostante la sagoma poco moderna dello scafo, si riesce a mantenere una velocità molto buona, questo grazie alla superficie velica ben ripartita nel numero e posizione delle vele.

Per quanto riguarda invece la navigazione a motore, non è delle più veloci, per la scarsa potenza del motore stesso, 40 cavalli, ma, comunque, questo non è un problema, perché è il motore ha, in ogni caso, solo la funzione ausiliaria.

Si tratta, quindi, di uno scafo di dieci metri con una linea da baleniera, con un albero ed un’asta e otto vele, compreso il fiocco di contromezzana issato sull’asta e sullo strallo poppiero, auriche, quadre e fiocchi; ricorda uno di quei vecchi yacht.

E’ stato costruito interamente in legno e le vele sono di cotone trattato per renderle impermeabi-li, il cordame e tutti i vari bozzelli sono le uniche parti vive della barca che siano di materiale e forma moderne.

Sopra coperta, il suo aspetto è molto sobrio e classico, mentre sotto coperta, a cominciare dalla dinette, un vero e proprio soggiorno con angolo cottura, per passare alle cuccette ed il bagno, siamo veramente in un albergo di prima classe con finiture in legni pregiati e bordature in ottone.

sabato 20 febbraio 2010

Quelle birrerie di Trieste che a Joyce sembravano pub

Nella città confine fra Italia e Mitteleuropa.

«La migliore torta Sacher si mangia qui»

Non c’è niente come la birra che annodi, filo rosso, anzi d’oro, quel senso di Mitteleuropa che passa da Praga a Vienna, da Bratislava a Budapest. E arriva a Trieste, naturalmente, questo luogo ricco di contrasti, immobile ma in divenire, che regala sensazioni estreme, scorbutico e accogliente. «Trieste ha una sua scontrosa grazia. Se piace, è come un ragazzaccio aspro e volgare»: così Umberto Saba descriveva la sua città. Trieste è un posto magico, concreto e illusorio. A Trieste si cammina controcorrente, sia perché qua c’è il vento più famoso del mondo, la bora, sia perché c’è un senso di sfida anche nella cucina che è vicina e lontana dall’Italia, riporta a suggestioni diverse, risente del suo passato. Costa e monte, mare e entroterra, con la benedizione del vecchio Impero che a Trieste è sopravvissuto per più di cinquecento anni.

Come non risentirne? La birra è una tradizione e un piacere che in città si è sempre rinnovato, con l’apertura di più di un birrificio. Nelle birrerie, nei tradizionali buffet triestini, si mangia a tutte le ore e la birra è bevanda ma anche condimento, mischiata alla senape e allungata su una salsiccia di Vienna o di Cragno. Si dice che piacesse (la birra, ma anche la salsiccia) a James Joyce che in questo modo poteva ritrovare il gusto della sua Irlanda, il sapore dei pub fumosi, dei piatti sostanziosi. Lo scrittore, nei suoi soggiorni triestini, percorreva queste vie, sostava in queste piazze, dove aveva scoperto anche l’impagabile piacere del caffè e andava a prenderlo alla Pasticceria Stella Polare di via Dante. Ecco, quello che non è cambiato è questo senso tutto triestino per i riti, per il ripetersi di pellegrinaggi come quello che sto facendo io, un sentiero religioso tra le strade del centro dove le stazioni goduriose sono luoghi dove sintetizzare mangiare e bere, piatti e birra, come il buffet aperto nel 1897 da Pepi Klajnsic detto «S’ciavo». Qui si avverte la predilezione per gli antichi sapori mitteleuropei: cotechino, porzina (carne di maiale) con una grattugiata di kren, pancetta, prosciutto cotto, costine.

Due fette di pane, e una cucchiaiata di quella senape di cui dicevamo, impreziosita da un goccio di birra Dreher, proprio come si faceva ai tempi di Anton Dreher che nel 1870 acquistò la «Prima fabbrica per la birra in Trieste». C’erano gli Asburgo, allora, ma quell’influenza si sente ancora tutta, nella birra, nel prosciutto cotto tipo Praga e nel kaiserfleisch, il prosciutto del Kaiser, ma non solo, perché i triestini sostengono che la migliore sacher torte, con quella di Vienna, si trova qui in città. Trieste mantiene la sua vocazione di testa e di pancia, letteraria e carnale. Alla Galleria d’arte Moderna del Civico Museo Revoltella c’è una mostra di Giorgio Carmelich, «Futuristicherie». E nel mio futuro, ora, c’è una passeggiata per il centro, per trovare una jota, la minestra con crauti, salsicce e fagioli, e un buon boccale di birra che le dia un meritato riposo.







L'INCENDIO ALL'INTERNO DE "IL SORRISO" DI CERVAREZZA DI BUSANA, IN PROVINCIA DI REGGIO EMILIA

Rogo in una casa di riposo: grave un anziano che era legato al letto

Pietro Lugari, di 67 anni, trovato con un polso legato a una sponda del letto

REGGIO EMILIA - Un anziano è in gravi condizioni per le ustioni riportate durante l'incendio scoppiato nella sua stanza all'interno di una casa di riposo nell'Appennino reggiano, "Il Sorriso" di Cervarezza di Busana. L'uomo, Pietro Lugari, di 67 anni, secondo quanto hanno riferito i soccorritori era legato al letto, ed è rimasto gravemente ustionato nel rogo della sua stanza. I carabinieri hanno aperto un'inchiesta coordinata dal Pm Valentina Salvi della Procura di Reggio Emilia.

FORSE UN MOZZICONE ALL'ORIGINE DEL ROGO - Lugari, secondo le prime notizie, sarebbe seguito da tempo dal Simap, i servizi di igiene mentale. Sarebbe stato trovato con un polso legato a una sponda del letto. In base ai primi accertamenti, non viene escluso che il rogo possa essere stato appiccato accidentalmente dallo stesso paziente, fumatore, che aveva la possibilità di accendersi autonomamente le sigarette, con la mano libera. L'ipotesi è che un mozzicone possa avere innescato il rogo.






Addio all'ultimo tabù ora la morte si fa bella

di Marcello Veneziani

Le polemiche sull'eutansia. Dopo secoli di pudore e rifiuto il dibattito pubblico sulla fine della vita si è improvvisamente rovesciato Ora c’è silenzio su chi sceglie di andare avanti e solidarietà verso chi annuncia che preferisce andarsene

Ma è possibile che l’umanità e la dignità della persona, e persino l’amore, si siano rifugiati nell’eutanasia? Leggo ogni giorno dichiarazioni e articoli pieni di umanità e d’amore dedicati a persone che decidono di morire o aiutano a morire.

Il caso Crisafulli, il caso Gosling, il caso Purdy, il caso Ewert, perfino l’anniversario del caso Englaro, del caso Welby e centinaia di altri casi. Più partecipi si fanno poi i racconti se i morenti e i loro aiutanti sono omosessuali, come se l’amore più puro fosse quello che non può procreare, cioè dar vita. L’atto supremo d’amore è considerato dar la morte al proprio partner malato.

Non leggo mai elogi a chi decide di vivere nonostante le condizioni estreme di vita o a chi procrea pur con una gravidanza a rischio mortale; solo elogi e comprensione a chi decide per la morte. Vedo poi una serie di film e interi scaffali in libreria dedicati al libero morire, al testamento biologico, al suicidio. Quasi tutti orientati in favore dell’eutanasia. È impressionante notare come il tabù della morte su cui è fondata la nostra epoca, ovvero la scomparsa del morire dai nostri orizzonti, il tacere, eludere, rimuovere la sua rappresentazione e perfino la parola, si sia d’un tratto rovesciato in un diffuso accanimento mortuario.

A ben vedere, però, si tratta di uno slittamento di senso perché il nodo naturale e soprannaturale del morire cade in secondo piano rispetto alla nostra libertà di decidere e di recidere il legame con la vita. Non dunque una cogitatio mortis, un pensare la morte, ma una rivendicazione della nostra sovranità sul morire. Sul tema non riesco ad avere opinioni nette e chiare, e non invidio coloro che le nutrono perché in quell’incertezza colgo il segno della condizione umana. Riesco solo a distinguere tra la sfera pubblica, comunitaria, e la sfera, non dirò privata, ma interiore, intima, personale.

Per la prima continuo a pensare che compito di un medico, di un ospedale, della legge e dell’autorità, della società e delle sue agenzie civili e religiose, sia quello di essere dalla parte della vita. E dunque di proporsi comunque di salvaguardarla, di scommettere sulla vita fino in fondo; evitando certo lo strazio dell’accanimento terapeutico ma tutelando quel fil di vita fino a che è possibile. E dunque reputo l’eutanasia a norma di legge un pericoloso cedimento allo spirito di morte che aleggia nella nostra società e fa il paio con la denatalità, gli amori sterili e la disperata opulenza.

Il suicidio dell’occidente di cui scriveva James Burnham mezzo secolo fa diventa orizzonte comune ad altezza di singolo. I confini dell’eutanasia sono poi incerti e insidiosi; a volte si citano casi estremi per far passare gradualmente l’idea che sia possibile liberarsi di vite malate o semplicemente stanche, di rami secchi e di pesi morti, che magari possono essere utili magazzini di ricambi per trapianti d’organi vitali. Un po’ quel che avviene nel girone inverso con l’aborto. Insomma, forme larvate di suicidio.

Invece è bene ricordare, prima della cristianità, la concezione pagana della vita come milizia, che fu di Cicerone; cioè l’idea che non si possa disertare, perché la vita non è solo nostra e ai suoi confini estremi non ci appartiene: ci fu data, ci sarà tolta. Amor fati, amate il vostro destino. Ai giovani tentati dal suicidio esorto all’avventura, al rischio in proprio, non a spese altrui, s’intende: giocatevi la vita più che buttarla via. Però se passo dal piano pubblico della civiltà al piano personale e interiore, allora il discorso assume altre prospettive.

È in gioco la dignità del vivere e del morire, il nostro umanissimo desiderio di non trascinarci come ombre di noi stessi e larve d’uomini, di non soffrire e di non far soffrire. Ti risalgono nella memoria e negli occhi il gesto o le ultime parole di una Cara Morente che ti chiedeva di essere portata a casa e poi fa il segno con l’indice e il medio di una forbice, come a tagliar la spina. Ti risalgono le parole di un Vecchio malato che si chiama la morte ogni giorno, pur avendone terrore, e ripete: che senso ha vivere ancora così malandato e vecchio. E tu ti vergogni nel primo caso se non hai il coraggio di assecondarla e ti attacchi invece a quel fil di vita; o nel secondo ti vergogni quasi a sperare, anche se lo ami quasi più di te stesso, che il vento se lo porti via e assecondi il suo desiderio di partire. Perché quello è il desiderio che coltivi anche per te stesso, di non trascinarti quando la vita diventa solo l’ombra del morire.

E allora, nei casi estremi, è possibile assumere sul piano personale una decisione tragica, ma senza pretendere il conforto della legge e della religione e il consenso della società e delle istituzioni. Ti assumi tutte le responsabilità della scelta e le conseguenze; un giudice rigoroso e misericordioso ti condannerà anche simbolicamente, sancirà un verdetto e un principio ma non pretenderà di aggiungere pena a dolore. Sul piano personale arrivi perfino a capire l’uso antico in certe popolazioni dei vecchi che si allontanavano dalla comunità per lasciarsi morire in disparte e riprendi un’idea fatalista che allarga a dismisura i confini dell’accanimento terapeutico. Poi però torni nella sfera pubblica, leggi tutti quei discorsi in favore del morire e ricordi quel piccolo, forse indecifrato, episodio accaduto giorni fa a Salvatore Crisafulli, da sette anni ridotto in condizioni quasi vegetative, ma con residua lucidità. Gli avevano chiesto di chiudere le palpebre se desiderava vivere e di tenerli aperti se invece, come sembrava, desiderava morire.

Mi era parsa un’inversione rituale, quella richiesta: sarebbe più giusto che chi vuol vivere tenga gli occhi aperti, chi vuol morire li chiuda. Poi però mi sono ricordato dell’Imperatore Adriano che voleva entrare nella morte ad occhi aperti e allora ho capito che forse era più giusto il contrario, chiudere gli occhi per continuare a vivere. E lui, Salvatore, li ha chiusi, come a offrirsi ciecamente alla sorte e alla vita.

Che volete, provo più tenerezza e trovo più amore in quel battito di ciglia in favore della vita, piuttosto che in quel cuscino con cui Gosling ha soffocato il suo compagno malato per non farlo più soffrire. Umani entrambi, per carità, e meritevoli di pietas ambedue; ma nel primo c’è forse una piccola traccia di divino, nascosta in un alito di vita ulteriore.